BOSNIA 1992 – 1995
La Bosnia, terra di confine, di incontro e scontro tra culture e religioni diverse, patì negli anni novanta la furia di un nazionalismo estremista, devastatore e omicida. La divisione della Jugoslavia mise la Bosnia nella drammatica condizione di scegliere se rimanere nella Federazione o divenire una Repubblica indipendente composta da tre etnie: serba, croata e mussulmana. Anni di odio e di paura seminati a piene mani da una classe dirigente scellerata portarono ad un periodo di massacri, stupri, espropriazioni forzate, vere e proprie migrazioni interne e verso l’estero. L’obbiettivo era la spartizione del Paese prendendo per la propria fazione più territorio possibile. Così, sotto lo sguardo di una comunità internazionale a tratti indifferente, a tratti imponente, a tratti incredula e pervasa da un indignazione di facciata, quasi d’ordinanza, bande paramilitari modernamente armate, motivate, addestrate e garantire di un immunità non ufficiale ma di fatto, imperversarono su città e villaggi sottoponendo la popolazione ad ogni genere di arbitrio e crudeltà. La cacciata della popolazione dai propri luoghi d’origine in nome della pulizia etnica portò alla tragedia di oltre due milioni di profughi, allo stupro di almeno 60.000 donne al disseminare una terra capace di offrire vedute paesaggistiche straordinarie con centinaia di migliaia di mine antiuomo, molte delle quali sono ancora al loro posto, silenziose guardiane di confini forse invisibili, ma assurdamente reali. Oggi la Bosnia è divisa in due entità statali, una per croati e mussulmani, l’altra per i serbi. La disoccupazione è al 40% e la gente è sfiduciata da una classe politica e burocratica incompetente, corrotta e sovradimensionata per un paese che ha pressapoco gli abitanti del Veneto. La cosa peggiore è che in Bosnia soffiare sull’odio verso il diverso, verso chi per cultura e religione è considerato “altro”, può essere ancora un’allettante scorciatoia per farsi strada in politica.